Punto di interesse
Mulino idraulico “Do’ Regnanti” e Parco didattico di archeologia industriale
Il mulino ad acqua detto “do’ Regnanti” è situato all’interno della Villa Comunale, faceva parte di quel complesso sistema di mulini “a batteria” che in passato erano posti lungo il torrente Melodari sfruttando le acque di caduta. Questo tipo di mulino costituisce una materiale testimonianza dell’importanza che questi piccoli opifici avevano per l’economia agricola del paese, ed è uno dei pochi mulini superstiti tra quelli attivi nella Vallata dello Stilaro.
Il mulino è di tipo “greco” o “scandinavo”, così definito per la posizione della ruota in ferro posta orizzontalmente rispetto alle macine. L’albero passava attraverso la macina inferiore ed era fissato alla macina superiore mediante una barra trasversale. Per funzionare correttamente aveva bisogno di una doccia ma era richiesta anche la presenza di un bottaccio e di altri mezzi atti a regolarizzare la fornitura dell’acqua per caduta. Le macine in granito erano piccole e giravano lentamente, compiendo l’intera rotazione una volta per ogni giro della ruota idraulica, per cui non riuscivano a macinare che modeste quantità di grano, orzo, granturco e altre sementi varie.
Il complesso del Mulino “do’ Regnanti”, restaurato e rimesso in funzione di recente, si presenta in discreto stato di conservazione per quanto concerne il fabbricato e si compone della maestosa Torre Acquaria, detta “saetta”, e del sistema idraulico che un tempo forniva l’energia necessaria per il funzionamento delle macine e l’esercizio dell’attività del mugnaio.
La “Vallata dello Stilaro”, con i comuni di Stilo, Pazzano e Bivongi, fu in passato uno dei principali poli minerari della Calabria grazie ai suoi giacimenti di limonite, un minerale composto in prevalenza di perossido di ferro.
L’attività estrattiva vera e propria, che si sviluppò per molti secoli fino al 1951, era concentrata nel territorio di Pazzano ma interessava tutto il versante del Monte Stella.
Dal minerale, dopo alcuni processi di fusione, si otteneva del ferro grezzo che raffinato e lavorato nelle ferriere, consentiva la produzione di utensili legati alle attività dell’artigianato e dell’agricoltura.
In epoca più recente il ferro fu impiegato anche nel settore militare per la produzione di armi da fuoco e palle di cannone.
Giacimenti di ferro, calcopirite, molibdeno, e galena sono sparsi su un vasto territorio con almeno trenta imbocchi di miniera, ormai chiusi, che in passato hanno rappresentato una notevole fonte di lavoro e di ricchezza tanto da essere considerati la “più ricca zona mineraria del Regno di Napoli”.
L’attività era così fiorente che intere comunità lavoravano in miniera o vivevano dell’indotto che tale attività richiedeva come carbonai e mulattieri che attraverso sentieri impervi e mille difficoltà, trasportavano il materiale estratto verso le fonderie e le ferriere di Mongiana e Ferdinandea.
Il percorso di archeologia industriale di Bivongi è composto non solo dai siti minerari, ma anche dai siti della “cultura materiale del lavoro” quali mulini, concerie e centrali idroelettriche, il tutto immerso in un paesaggio di incomparabile bellezza.
All’interno della Villa Comunale di Bivongi sono stati allestiti modelli in scala 1:1 di forni fusori, binari e carrelli, e altre attività della cultura materiale del lavoro di Bivongi. Rappresentano il primo parco didattico dell’Archeologia Industriale esistente in Calabria.