Punto di interesse
Museo privato civiltà contadina “A Lumera”
Bivongi, è un paese dalle origini antiche che vanta oltre 1000 anni di storia e di cultura. In questo lungo arco di tempo in Bivongi fiorirono attività agricole e artigianali di buon livello. Alcune attività hanno lasciato traccia di sé e sono riuscite ad arrivare fino a noi sfidando il tempo. Antichi mestieri tramandati da padre in figlio o insegnati da capaci maestri agli allievi di bottega.
Falegnami e intagliatori: oltre a produrre mobili di grande pregio, avevano una notevole abilità nell’intagliare e scolpire il legno realizzando lavori a tutto tondo, a sottile rilievo o a intarsio di colori diversi.
Muratori-stuccatori: mentre i maestri muratori si occupavano della costruzione degli edifici usando pietra, sabbia e calce, gli scalpellini, si occupavano della realizzazione di mensole, architravi e portali. Agli stuccatori toccava il compito di realizzare archi, capitelli, colonne, fregi e stemmi. A Bivongi la massima espressione artistica di muratori e decoratori si è avuta agli inizi del ‘900 attraverso i prospetti di alcuni palazzi nobiliari di gusto tipicamente neoclassico e nello stile liberty particolarmente presente in piazza Umberto I.
Fabbri e “forgiari”: le principali strade del centro storico sono ornate da balconi in ferro battuto, grate, recinzioni, chiavistelli e battiporta realizzati in armonia di forme e di finezza di esecuzione. Nelle botteghe del ferro venivano realizzati anche meccanismi e ingranaggi per palmenti e frantoi, ma soprattutto c’era una grande richiesta di attrezzi da lavoro agricolo e per l’edilizia: vanghe, picconi, rastrelli, scalpelli, martelli e quanto altro necessario.
Carradori detti carrettari: questi maestri falegnami erano in grado di costruire ogni specie di carro e carretto da adibire al trasporto di persone o di cose.
Tessitrici: In ogni via del paese c’era almeno un telaio che tutti i giorni era in funzione per moltissime ore, quasi ininterrottamente. Il battitoio del telaio delle tessitrici produceva un suono cadenzato e caratteristico che tuttora è rimasto nella memoria dei più anziani. La tela prodotta dalle tessitrici contribuiva al sostentamento delle famiglie e al contempo soddisfava i bisogni di tutti creando capi di biancheria, vestiti, coperte, tovaglie e ogni tipo di corredo tessile.
Calderai e stagnini: erano maestri capaci di trasformare un semplice foglio di lamiera di rame, col solo uso del martello, in una caldaia.
Sellai: conosciuto come “mbastaru” che allestiva basti in legno e pelle per asini e muli, e selle in cuoio per i cavalli.
Maniscalchi: coloro che ferravano gli zoccoli di asini, cavalli e buoi.
Impagliasedie o “seggiaru”: raccoglieva nelle paludi un’erba acquatica, la sala, detta “a guda” che poi seccava e intrecciava creando le sedie.
Cestai: questi artigiani utilizzavano le canne e virgulti di Ogliastro “agghjiastru” per fare cesti, panieri, fascini e cofani che erano poi utilizzati per l’attività agricola.
Casari o massari: questi uomini si dedicavano alla pastorizia al seguito di piccoli greggi di pecore e di capre, e di mandrie di bovini.
Mugnai o mulinari: utilizzavano l’acqua dei torrenti, che venivano incanalati in lunghi percorsi di terra battuta o di muri a secco detti “acquari”, per far girare le grandi macine di pietra che servivano per trasformare in farina i cereali come grano, orzo, mais.
Carbonai o “carvunaru”: Era uno dei lavori più duri: dopo aver tagliato, trasportato e raccolto la legna, la sistemava accuratamente in forma circolare per realizzare la carbonaia, mettendo in basso i ceppi più grossi e man mano la legna più minuta. Una volta accesa la catasta veniva interamente ricoperta di terra lasciando solo la bocca centrale per far uscire il fumo. La combustione all’interno doveva avvenire senza fiamma, altrimenti la legna si sarebbe trasformata in cenere.La carbonaia andava controllata e irrorata con acqua continuamente oltre ad essere “civàta” (cibata), inserendo dal buco in alto nuova legna per mantenere il fuoco. Non meno faticosa era la fase di “scarico”: rompendo il guscio di terra compattata, il carbone estratto doveva essere poi trasportato fino a valle con muli o, più spesso, a spalle.
Scalpellini: questi abili artigiani utilizzavano i grossi trovanti di granito per realizzare portali di edifici, solette per i balconi, e ruote per i frantoi e per le macine (soprana e sottana) dei mulini.
Mulattiere: persona che trasportava, dietro compenso, l’uva dalle zone più impervie ai palmenti, quando non c’erano le donne a portarla sulla testa.
Bottai: con maestria riuscivano a trasformare assi di legno di castagno o di rovere in botti, dette “gutti”, per contenere il vino, barili detti “varidi”, e altri contenitori.
Una vasta collezione di utensili e lavorazioni artigianali del passato sono conservati nel museo privato della cultura e civiltà contadina “A Lumera” in via V. Emanuele.